“Sotto il futuro ponte ci sia tutto il meglio di Genova”. Intervento del Presidente Raffetto

Sotto il futuro ponte ci sia tutto il meglio di Genova

I ponti collegano luoghi e persone, creano contatti, scambi di merci e di cultura, contribuiscono a formare una rete di percorsi e di relazioni; non ne può che venire del bene, come scriveva Primo Levi nel 1978, un decennio dopo l’inaugurazione del Ponte Morandi.

Genova è una città di pochi fiumi e di tanti ponti, come in pochissime altre città al mondo, che uniscono fin i quartieri e le case per le quali fanno talvolta da ingresso o altre volte da tetto. Sono ponti quelli leggeri, aeree passerelle solcate a piedi tra un alto muraglione e un abbaino sul tetto, quelli vecchi di solide pietre e mattoni dei primi fumosi viaggi in treno, quelli moderni necessari alla logistica dell’uomo contemporaneo e delle sue merci. Quelli del porto, anch’essi chiamati ponti, poiché protesi verso il mare che unisce e non separa mai.

Il Ponte Morandi era fatto di tre “ponti levatoi” allineati ritualmente come i tre fornici di una moderna porta di accesso al centro della nostra città allungata fra il sorgere e il calar del sole. Il Ponte corrispondeva all’estetica della forza industriale che ha connotato fino al XX secolo la valle del torrente Polcevera; la sua robustezza è forse andata persa insieme all’identità stessa di quella valle che ormai non è più né industriale e nemmeno abbastanza città.

Per fare ripartire Genova si riparta dunque dalla Val Polcevera e dalla ricerca della sua nuova identità. Si tratta di ricostruire un ponte, ma anche un pezzo di città che verrà in parte demolito e deve essere ri-progettato.

Il nuovo Ponte ci serve il prima possibile, però veloce non deve essere sinonimo di anonimo e precario: dovrà essere un simbolo, e una moderna infrastruttura europea. Dovrà essere bello per chi lo vede contro lo sfondo del mare o delle colline, per chi lo vede da una nave o atterrando a Sestri Ponente. Dovrà essere sicuro da percorrere. Non dovrà bloccarsi al minimo incidente, aiutato in ciò dai più avanzati sistemi hi-tech, magari sviluppati nel vicino Istituto Italiano della Tecnologia. Come molte nuove strade nel mondo si potrà pensare di dotarlo dei sistemi adatti alla guida automatica dei veicoli.

Del perduto Morandi il nuovo Ponte dovrà conservare il ruolo di macchina cinematografica per la visione urbana, come anticipazione della più centrale Strada Soprelevata, e concedere gli scorci abbacinanti del sole sul Mar Ligure, la visione aperta sulla valle. Le protezioni anti rumore e frangi vento dovranno essere permeabili e trasparenti.

L’impatto dell’opera, come si usa dire, potrà essere più “leggero” del Morandi, ma non si deve fare un ponte timido o nascosto.  Le forme e i materiali dovranno condurre a terra i carichi e reagire con maestria alle tensioni, ma si potrebbero evocare delle fluttuanti barche a vela con il proprio sartiame. La sicurezza data dai sistemi di calcolo contemporanei consente molte soluzioni formali. La scienza delle costruzioni e le tecnologie dei materiali hanno fatto passi da gigante dagli anni ’60.  Oggi poi si progetta meglio e da subito il ciclo di vita dell’opera programmandone scientificamente la manutenzione.

Si adottino le modalità realizzative bene utilizzate ad esempio in Francia per la progettazione del Viaduc de Millau, il ponte più alto e bello d’Europa, anche senza riprenderne necessariamente il disegno.

Qui non c’è tempo per un concorso, allora si coinvolgano subito i migliori progettisti e le migliori imprese di costruzione: in Italia ne abbiamo, e all’estero le nostre competenze su queste opere sono apprezzate più che in patria.

Gli ingegneri lavorino insieme con gli architetti in team multidisciplinari, un ponte non deve solo “stare su” e non può solo essere un landmark: al giorno d’oggi si deve progettare attraverso tante competenze professionali ben coordinate tra loro.

Il nuovo Ponte, per essere davvero simbolico, dovrà portare tante risposte. Non è solo questione d forma. Dovrà essere costruito “dal basso”, in rapporto con la vallata e il territorio: le case sotto non ci saranno più. Questo quartiere distrutto, il Campasso, sia davvero un primo grande esperimento di rigenerazione urbana a Genova.

Dare una casa alle persone che l’hanno persa è la priorità, ma anche in questo caso l’urgenza non sia sinonimo di ripiego: cerchiamo nuove soluzioni abitative all’interno dello stesso quartiere, senza perdere la memoria di quanto c’era, come hanno rilevato le richieste degli sfollati.

La rigenerazione auspicata dovrà essere l’occasione per innestare il recupero del vicino quartiere di San Pier d’Arena, ora ridotto a essere un “quartiere spartitraffico” con enormi problemi di vivibilità e sicurezza, e la riqualificazione degli spazi pubblici, dell’area di Campi sulla sponda opposta, in cui pulsa ancora un cuore produttivo, industrioso pur se meno industriale di un tempo: l’Ansaldo, l’incubatore BIC, tante altre aziende e un distretto commerciale importante potrebbero trovare una maggiore qualità architettonica e urbana.

Cominciamo a ragionare su parchi e verde, su nuovi e migliori case e servizi pubblici. Qualcuno propone un memoriale del Morandi: forse la memoria di questa tragedia ha bisogno di essere elaborata in tempi più lunghi, e deve nascere spontaneamente da un sentimento collettivo.

E’ una sfida per la Città e per gli architetti, che richiede un tempo di riflessione e studio dopo l’emergenza.  Serve dialogo, capacità di ascolto, servono intelligenze e progetti, scelti anche tramite concorsi.

Sotto il Ponte ci sia tutto il meglio di Genova. Servono soldi e nuove attenzioni, per questo nella legge speciale allo studio del Governo dobbiamo chiedere un risarcimento dei danni, compresi quelli ambientali poco considerati e soprattutto una compensazione alle servitù che Genova ha pagato per fare viaggiare cose e persone. Le attenzioni le dobbiamo mettere noi tutti, come stiamo facendo da quella tragica mattina della vigilia di Ferragosto.

Ai genovesi spetta l’impegno per imparare a “usare” diversamente la città, a partire dall’utilizzo di mezzi pubblici, e che questo impegno possa restare un’abitudine anche una volta risolta l’emergenza. Ai professionisti la sensibilità e la competenza di studiare e proporre sempre le soluzioni migliori, imparando a raccontarle con chiarezza e talvolta con coraggio.  Agli amministratori pubblici lavorare per aiutarci a costruire il nostro futuro.

Arch. Paolo Raffetto
Presidente Ordine Architetti P.P.C. di Genova

L’intervento è stato pubblicato su IL SECOLO XIX del 27 agosto 2018 a pagina 19.

Articolo Raffetto Secolo XIX 27 agosto 2018