Ricordo quando Aldo Rizzo invitò in un suo cantiere ormai quasi ultimato Giancarlo De Carlo, a metà degli anni ’80. Era il nascente quartiere di edilizia pubblica denominato San Pietro, sulle alture di Pegli, per il quale Rizzo voleva il parere dello stimato collega.
Ricordo che De Carlo valutò il quartiere interessante, ma che fosse ancora presto per poter trarre valutazioni definitive, e che si sarebbero dovuti attendere i suoi abitanti per capire la qualità delle relazioni che il quartiere poteva favorire.
Negli anni successivi gli abitanti arrivarono ma, come accadeva nei quartieri pubblici di allora, attraverso inserimenti forzati, privi di qualsivoglia integrazione e coerenza, in quelli che l’amministrazione pubblica considerava forse poco più che dormitori, privi di servizi essenziali, a cominciare dai negozi.
Venne perfino facile, per la sintetica perfidia popolare, ribattezzare quegli edifici provvisti di grandi oblò sulle terrazze ad inquadrare il paesaggio circostante con l’appellativo ingeneroso di “Lavatrici”.
Ho incontrato, alcuni anni fa, quel quartiere e il suo progettista in occasione di due tesi di laurea seguite con altrettanti studenti della Facoltà di Architettura di Genova. In quelle occasioni, che ricordo con profondo affetto, ho imparato da un lato a conoscere quella complessa architettura e, dall’altro, il suo progettista, durante le visite nella sua casa sulle alture di Pieve, molto riservato e di grande competenza progettuale.
Ho così conosciuto gli aspetti progettuali più raffinati di quel quartiere, fitti di raffinate citazioni, come nel rapporto con il contesto attraverso la struttura che digrada nelle due valli opposte, come l’ampliamento genovese di Palazzo Tursi di Franco Albini; il percorso verde sul quale si affacciano gli alloggi interni e che punta dritto verso l’infinito del mare, come il californiano Salk Institute di Louis Khan; o la straordinaria ostinazione nel restituire un linguaggio architettonico espressivo ad un sistema costruttivo prefabbricato, il “Tunnel”, molto usato in quegli anni, attraverso una straordinaria vibrazione chiaroscurale dei suoi elementi costruttivi prolungati in modo plastico, come nelle architettare costruttiviste del ‘900.
Ho infine imparato come la grandezza di Aldo Rizzo consistesse proprio nel saper trasmettere al suo lavoro quell’ostinazione, intelligenza e compostezza che ne ha connotato l’intera esistenza.
Luca Mazzari
consigliere dell’Ordine degli Architetti di Genova