Dalle professioni italiane parte un nuovo appello al governo per sanare l’esclusione dai contributi a Fondo perduto previsti dal Decreto Rilancio. «Agli Stati Generali dell’Economia – spiegano Marina Calderone, presidente del Comitato Unitario delle Professioni, e Armando Zambrano, coordinatore della Rete delle Professioni Tecniche – al premier Giuseppe Conte e ai ministri del lavoro, Nunzia Catalfo, e dello Sviluppo economico, Stefano Patuanelli, abbiamo illustrato perché riteniamo ingiustificata la nostra esclusione dagli indennizzi.
I 2,3 milioni di professionisti sono una componente essenziale del sistema economico italiano. Partecipano alla produzione del 14% del Pil e, per effetto del lock down dovuto all’emergenza sanitaria da Covid-19, hanno subito perdite di fatturato al pari di tante altre attività economiche del Paese. A Villa Pamphilj abbiamo riscontrato un clima di apertura da parte del Governo e registrato l’impegno a cercare una soluzione per cancellare l’iniziale esclusione contenuta nel decreto 34/20.
Quest’ultimo, infatti, risulta in contrasto con la Legge 81/2017 (c.d. il Jobs Act degli Autonomi) che ha riconosciuto normativamente l’equiparazione dei liberi professionisti alle pmi nell’accesso agli strumenti di finanziamento previsti dai programmi operativi nazionali e regionali.
L’esclusione dalla fruizione del contributo a fondo perduto risulta tanto più incomprensibile, vista la difficoltà oggettiva in cui versa il settore delle professioni, anche per effetto del fatto che l’accesso al beneficio è consentito, sulla base delle istruzioni dettate dalla circolare n. 15/E dell’Agenzia delle Entrate, anche alle Società tra Professionisti istituite ai sensi della legge 183 del 2011.
Come si spiega nel “Manifesto per la Rinascita dell’Italia”, consegnato al premier, tale norma ha introdotto una nuova modalità di esercizio della professione, consentendo agli iscritti agli ordini e ai collegi di dare vita a forme di aggregazione a patto che l’oggetto esclusivo fosse riferibile all’ambito della professione esercitata dai soci. Per cui, i professionisti oggi possono liberamente scegliere di esercitare la professione in forma individuale, societaria, o in entrambi i modi.
Consentire l’accesso ai contribuiti a fondo perduto alle società tra professionisti (Stp) e non ai singoli crea una ingiustificata disparità di trattamento tra soggetti che svolgono le medesime attività.
Non va, infatti, dimenticato che le Stp, per poter operare, devono essere iscritte agli ordini e ai collegi di appartenenza dei soci. Infine, il mandato professionale sottoscritto dalle società con i clienti deve obbligatoriamente indicare il professionista incaricato di svolgere l’attività.
La questione si complica ulteriormente nell’ipotesi in cui un professionista, che operi individualmente con proprio studio, abbia anche una quota in una società con altri colleghi. In questo caso, per l’attività svolta in forma individuale, il professionista oggi non ha diritto a fruire dei benefici di cui all’articolo 25 del citato Decreto-Legge 34/2020 mentre può accedervi attraverso la partecipazione ad società tra professionisti.
«Dopo l’incontro della scorsa settimana auspichiamo – concludono Calderone e Zambrano – che si passi dalle parole ai fatti e che si sfrutti la conversione in legge del Decreto, attraverso apposito emendamento governativo, per riammettere i professionisti ad una misura necessaria per far fronte al periodo difficile di questi mesi».