Anche Genova, come molte altre città italiane ed europee, lancia un piano per la realizzazione di una rete di ciclabili d’emergenza. Circa 30 chilometri, da realizzare nelle prossime settimane da Boccadasse a Fiumara e lungo le due principali vallate cittadine, la Valpolcevera e la Val Bisagno. Il piano proseguirà quindi in altri ambiti del territorio comunale.
Anzitutto è bene chiarire perché una rete di ciclabili d’emergenza e non percorsi ciclabili o ciclovie anche per lo svago ed il turismo, su cui il Comune sta nel frattempo lavorando. A seguito dell’emergenza Covid-19, i mezzi pubblici circoleranno con metà della loro capienza favorendo l’utilizzo del mezzo privato da parte di molti che erano soliti avvalersi del trasporto pubblico locale. Anche le persone condivideranno meno lo stesso mezzo di trasporto privato. In questo contesto risulta evidente l’aumento del traffico privato e dell’inquinamento urbano, a maggior ragione in previsione di una riapertura delle scuole in autunno.
Per far fronte a questo nuovo problema, del tutto imprevedibile fino a soli pochi mesi fa, anche il Comune di Genova cerca quindi di predisporre una rete “smart” che possa invogliare il maggior numero di persone ad utilizzare la bicicletta o la micro-mobilità elettrica al posto del mezzo privato. Una rete di emergenza di rapida realizzazione che prevede la predisposizione di sola segnaletica orizzontale e verticale, sulla scorta di quanto realizzato in altre città italiane ed europee come, ad esempio, le piste ciclabili su corsia riservata – con limiti di velocità a 30 km/h – e le nuove corsie ciclabili, o bike lane, valicabili e ad uso promiscuo introdotte nel Codice della Strada dall’ultimo decreto ministeriale.
La pista ciclabile in corsia riservata, quando è bidirezionale, è in genere sempre protetta da cordolo per ovvie ragioni in caso di “contromano” da una delle due direzioni. Quando è monodirezionale non è necessario la protezione non è necessaria, sebbene prevedere cordoli, o comunque elementi di segnalazione e dissuasione, rappresenti sempre la soluzione ottimale.
Pur se dettata da particolari contingenze legate all’emergenza Coronavirus, questa sperimentazione di una mobilità “dolce”, supportata attraverso interventi temporanei, a basso costo e progettati dal basso – ai quali hanno infatti partecipato anche diverse associazioni -, potrebbe raggiungere ugualmente lo scopo di far “toccare con mano” i vantaggi della velocità ridotta, di spingere molti cittadini ad utilizzare per la prima volta le due ruote nei loro spostamenti e di apprezzare, quindi, il valore aggiunto della riduzione del rumore, dell’aumento della qualità e della vivibilità dello spazio pubblico.
In questo senso, dunque, la nuova rete di emergenza ciclabile è da vedere con assoluta positività quale anticipazione di nuovi e più importanti progetti che l’amministrazione comunale di Genova sta sviluppando: le già citate ciclabili dalla Darsena alla Fiumara, di corso Italia, della Valpolcevera e della Valbisagno. Progetti che, rispetto a quello in corso, comporteranno costi e tempi decisamente superiori, ma doteranno la città di una nuova rete per la mobilità “lenta” capace sia di rappresentare un motore per la riqualificazione e la rigenerazione di intere porzioni urbane, sia di aumentare la valorizzazione degli spazi pedonali e delle vie commerciali; sia, infine, di innescare nuovi flussi turistici in città.
Proprio per questa ragione, gli architetti genovesi valutano positivamente sia il progetto in corso della rete delle ciclabili di emergenza, sia il più ampio e strategico piano per la realizzazione dei futuri percorsi ciclabili. Sottolineando che, per fare di Genova una realtà davvero innovativa e tale da essere presa a modello a livello nazionale ed internazionale, questi interventi dovranno essere accompagnati da un altrettanto importante ed urgente progetto di riqualificazione, rivalorizzazione e ripensamento dello spazio pubblico e dello spazio privato di uso pubblico, tali da perseguire una nuova immagine urbana ed ampliare la dotazione e dimensione di questi spazi destinati alla mobilità leggera, ormai sempre più importanti e strategici per la vivibilità e sostenibilità, anche economica, delle città di media e grande dimensione.
L’esempio di Milano
La filosofia dei nuovi percorsi ciclabili si inserisce in quella che alcuni definiscono “urbanistica tattica”, nata alcuni decenni fa a favore di una mobilità più sostenibile. In Italia costituisce ancora una relativa novità, anche se a Milano viene sperimentata da un paio d’anni con continuità. Nel capoluogo lombardo le nuove tratte realizzate non si configurano come piste ciclabili vere e proprie, bensì come spazi riservati alle bici o più sicuri per i ciclisti nelle strade già esistenti, sottraendo quelli riservati alle auto, oppure riducendo il limite di velocità (è infatti consigliabile aumentare le zone 30 km/h) nelle strade che corrono al fianco di quelle più trafficate.
Il Comune di Milano è così riuscito a riservare a chi usa la bici per spostamenti quotidiani e ai pedoni alcune importanti vie della città, senza costi particolari o cantieri lunghi mesi o anni. Attualmente il progetto più importante è quello che collegherà piazza San Babila, dietro al Duomo, a Sesto San Giovanni, uno dei comuni più popolati della periferia nord. Il percorso ricalca quello della linea rossa della metropolitana, frequentatissima dai pendolari che potranno quindi scegliere una nuova modalità di spostamento.
Non è un caso che il Comune abbia deciso di sovrapporre il percorso ciclabile a quello della metro. Dicono i responsabili del progetto: «Milano aveva un asse importante di trasporto pubblico rappresentato dalle metro, che portavano circa 1,4 milioni di persone al giorno. Se dobbiamo mantenere il distanziamento sociale fra passeggeri, va ridotta la loro portata a un terzo o un quarto. Significa che ci sarà un problema di spostamento per un milione di persone. Dobbiamo evitare che tutti entrino in città con l’automobile».
Luca Dolmetta, consigliere dell’Ordine degli Architetti PPC di Genova ed esperto di mobilità sostenibile