Hanno rubato il nostro futuro? – L’intervento del Presidente dell’Ordine Paolo Raffetto

“Hanno rubato il nostro futuro?”: questo il titolo dell’intervento firmato dal Presidente dell’Ordine degli Architetti di Genova Paolo Raffetto in merito al tragico crollo di Ponte Morandi, riportato nella sezione “Lettere” del Secolo XIX del 20 agosto.

La disattenzione per le infrastrutture, che il crollo del ponte di Genova ha drammaticamente dimostrato, insieme al pasticcio creato dall’emendamento al testo del Milleproroghe sulla revoca dei finanziamenti al cosiddetto Piano Periferie mettono in luce la disattenzione di tutti gli ultimi governi rispetto ai problemi delle città.

D’altronde la campagna elettorale si è distinta per l’assenza del tema urbano dai programmi dei partiti, in particolare da quelli di governo che più di altri dovrebbero essere sensibili ai problemi dei quartieri in cui vive la parte di popolazione più insoddisfatta.

Nelle città è il nostro futuro, quello della civiltà dell’abitare che incarna uno degli aspetti identitari dell’Italia. Se il nostro è il paese del design e dei siti Unesco, è per questa millenaria attenzione allo spazio in cui viviamo.

Nell’alto medioevo, ricorda Chris Wickham nel suo “Europa nel Medioevo”, era il Sud del Mediterraneo a essere ricco, colto e sviluppato, mentre il Nord era “uno spettacolo indecente di tende e capanne, abitate da una massa derelitta e macilenta”. Secondo Wickham l’aspetto che più aveva caratterizzato lo sviluppo di quest’area del Mediterraneo fu l’importanza assunta delle città (Cordova, Damasco, Il Cairo, Tunisi, Palermo), e la loro capacità di costruire i nodi di una rete commerciale e culturale, ovvero con termine proprio, di costituire una civiltà.

L’Europa seppe uscire dalla crisi imparando dall’altra sponda del mare nostrum a intessere la trama di commerci e a ricostruire i centri abitati (pensiamo alla Genova delle Repubbliche marinare) grazie ai quali è nata la nostra civiltà.

Ma accanto ai luoghi straordinari, come i centri storici, dove però risiede una minima parte di popolazione, abbiamo quartieri bisognosi di investimenti, di manutenzioni e progetti in grado di restituire bellezza e identità a chi ci vive.

Gli esponenti di governo rassicurano garantendo che i soldi già promessi saranno dati e anzi spendibili liberamente e ora senza vincoli.

E’ proprio questo il punto: è miope pensare di risolvere strutturalmente i problemi delle città con finanziamenti a pioggia, senza prima fare progetti e programmi che diano priorità e pongano obiettivi di breve e lungo periodo. Ancora più folle è fare ciò togliendo i soldi a progetti già approvati.

Il modello della città contemporanea tende a una forte competizione tra le aree urbane, che certo non può attuarsi senza politiche pubbliche i cui risultati li misurano l’economia e il benessere prima ancora che un fugace consenso elettorale.

Da questo punto di vista l’Italia parte oggi svantaggiata: pur consapevoli della bellezza del nostro paese, nessuna delle città italiane rientra nelle prime posizioni per qualità della vita.

Le classifiche non sono sempre in grado di valutare alcuni elementi come la ricchezza culturale e la memoria di nostri paesi, ma dopo la tragedia del Ponte Morandi nessuno può mettere in dubbio l’arretratezza delle nostre città le quali di per sé sono la più grande infrastruttura del Paese.

Ma la prima infrastruttura di cui abbiamo bisogno è la politica: se a livello locale tutti i sindaci conoscono bene l’importanza degli assessorati all’urbanistica, a livello nazionale questa consapevolezza manca. Nessun ministero dedicato all’urbanistica ma un pulviscolo di competenze e sovrapposizioni tra le diverse strutture centrali (Presidenza del Consiglio, Interni, Ambiente, Infrastrutture, etc.) per non parlare della “concorrenza legislativa” con le strutture regionali. Tutti se ne occupano, quindi non se ne occupa nessuno.

Dipendiamo ancora da leggi varate per la ricostruzione postbellica. In tempi recenti abbiamo saputo solo muoverci per mal coordinati interventi “emergenziali” qual è il recente Piano Periferie. Sempre meglio di niente.

Appunto il Piano dei governi Renzi-Gentiloni si inserisce nel filone degli interventi che guardano poco al futuro, ma che almeno affrontano il presente. Non ha quindi senso il rinvio delle somme stanziate, se non quello di generare ancora sfiducia, anche nelle stesse amministrazioni locali già fiaccate da tagli di ogni sorta.

La devoluzione agli organismi locali, dietro il miraggio di assecondare le specificità territoriali (che pur ci sono), non ha permesso di coordinare politiche e investimenti, creando anzi un apparato burocratico elefantiaco incapace di quella rigenerazione urbana necessaria ad avere città più belle, attraenti e sostenibili; città sicure dal punto di vista sismico, idrogeologico e ora anche infrastrutturale.

L’economista Ezio Micelli – durante il recente Congresso degli Architetti Italiani – ha evidenziato i limiti della competizione tra città: senza un’agenda urbana per il Paese rischiamo di acuire il divario tra i territori più forti e quelli arretrati. La stessa Liguria, ancora a lungo senza le infrastrutture di cui necessita, ora in crisi dopo il crollo del Morandi, corre un rischio di rapido declino.

Le risposte a questi problemi sono complesse. Pur non spettando a chi scrive indicare le soluzioni, è necessario portare all’attenzione pubblica l’indifferibile necessità di organici progetti di cui ha bisogno il nostro paese.

Un vecchio adagio recita che “non progetta solo chi non ha futuro”. Ci hanno rubato il futuro?

Paolo A. Raffetto – Presidente Ordine degli Architetti P.P.C. di Genova

 

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