Il 4 giugno 2005 ci ha lasciato Giancarlo De Carlo, persona di energia straordinaria e di impareggiabile integrità. Nel 2019 ricorre il centenario della sua nascita, perciò quest’anno Big November accoglierà diverse iniziative per proporre l’attualità del suo pensiero e ripercorrere la sua architettura.
Oggi vogliamo ricordare qui, insieme a tutti i suoi studenti, il De Carlo insegnante:
“…Quanto agli studenti – e ora non parlo solo dei cinquecento del corso del primo anno, ma anche e soprattutto dei centocinquanta circa dei tre Corsi biennali, ormai quasi tutti laureati – mi auguro di averli aiutati a capire a quante conoscenze complesse e ambizioni appassionate bisogna votarsi per potere esercitare come si conviene il mestiere dell’architetto. Dopotutto, dal momento che l’interna sostanza dell’architettura non è cambiata da quando Dedalo progettava labirinti per chiudere lo spazio e ali leggere per aprirlo, non ho fatto molto di più che seguire quanto raccomanda Vitruvio in apertura del Primo Libro del suo Trattato. Con l’aggiunta, forse superflua nell’epoca classica e invece indispensabile oggi, che la responsabilità degli architetti nei confronti della società è diventata grande, perché un evento di architettura non è più necessariamente a favore delgi esseri umani e può invece risultare minacciosp per l’equlibrio della loro esistenza, perciò di ogni evento architettonico che si sta per progettare bisogna valutare a fondo motivazioni e conseguenze, e rivelarle; e, quando le motivazioni appaiono equivoche e le conseguenze sfavorevoli, bisogna rifiutare di farsi coinvolgere. Non è nei poteri dell’architettura di raggiungere alti livelli di qualità se le sue cause sono truffaldine e i suoi effetti sopraffatori; d’altra parte il potere di dire di no è un grande privilegio di cui gli architetti dispongono ogni volta che trovano il coraggio di usarlo. …”
(“La città e il Porto” Marietti, 1992)
E insieme a tutti i colleghi il De Carlo architetto:
“L’edifico della facoltà di legge è forse quello che ho rispettato di più nella sua struttura, però è anche quello nel quale ho introdotto il maggior numero di contraddizioni organizzative e morfologiche. Nessuno se ne accorge, ma ci sono e io mi illudo che che stimolino la gente, inconsciamente, a pensare. Ho resuscitato le cantine e le ho fatte diventare cuore del sistema orgaanizzativo. Ho scavato finestre nei soffitti e nelle pareti della biblioteche e dei depositi libri, ho sollevato il giardino e sotto ho inserito la biblioteca, poi ho rifatto il giardino. Ho sollevato il cortile per metterci sotto il deposito libri e poi ho rifatto il cortile. Ho commesso una serie di piccole infrazioni che hanno steso una rete di minute contraddizioni negli spazi dell’edificio: contraddizioni calcolate per generare pensiero, per spingere alla critica. Io so, credo, che uno degli scopi primi dell’architettura sia stimolare la critica e non la stupida beatitudine. La gente, da uno spazio significativo, deve essere continuamente portata ad esperirlo in modo critico; deve accorgersi che si trova in una condizione che va continuamente rimessa in equilibrio e allo stesso tempo deve capire che non può esistere un equilibrio definitivo (…). Penso che sia necessario essere attivi verso lo spazio se si vuole che lo spazio risponda; altrimenti è come essere in una scatola di sardine, senza altra possibilità che giacere su un fianco attaccati a un’altra sardina.”
Franco Bunçuga “Conversazioni con Giancarlo De Carlo” Eleuthera, 2000
Clelia Tuscano